martedì 8 maggio 2012

Di ritorno da Kloar con saint Robert nel calendario e la Bretagna nel cuore /De retour de Kloar avec saint Robert dans le calendrier et la Bretagne dans le cœur


Di ritorno da Kloar con saint Robert nel calendario e la Bretagna nel cuore

Il 30 aprile è il mio compleanno. 
Ho sempre amato questa data perché noi europei nella notte tra il 30 aprile ed il 1 maggio celebriamo da tempi lontanissimi il risveglio della natura dopo il sonno dell’inverno: è la notte di Beltene per i celti, la notte di Valpurga per i germanici, l’inizio del mese della dea Maia per i romani, divenuto poi mese di Maria per i cristiani.
Il 30 aprile di quest’anno è stato veramente speciale.  L’ho passato in Bretagna, terra magica, in cui la Tradizione è forte in tutti i sensi ed in particolare lo è la tradizione musicale.
Sono andato là per suonare e cantare il maggio con il mio amico e collega marchigiano Marco Meo,  affiancando in concerti, fest-noz, suonate e bevute nei bistrot il magnifico Chacho Marchelli e l’irrefrenabile gruppo piemontese dei Calagiubella. Noi tutti dell’allegra comitiva marchigiano-piemontese siamo stati invitati ed amorevolmente accolti ed ospitati da due grandissimi musicisti bretoni, Brigitte Kloareg e Yann-Fanch Perroches, e da una splendida comunità di cultori di musica e di danza tradizionale. Solo l’avere il privilegio di passare qualche giorno con Brigitte, Yann-Fanch e tutti i loro amici e collaboratori già sarebbe bastato a riempirci di gioia e benessere. Ma, si sa, i pellegrinaggi presso i centri della tradizione offrono sempre qualcosa di più, qualcosa di indescrivibile a parole, di profondo, di spirituale a chi vi si avvicina nel modo giusto.
Il soggiorno a Kloar è stato preceduto e seguito da incontri meravigliosi: nel viaggio di andata quello con Patrice l’antiquario, in Auvergne, con il quale avevamo un appuntamento senza conoscere il suo indirizzo e che siamo riusciti a trovare, nel suo paese, solo dopo esserci messi a suonare il maggio per strada (che bella prova iniziatica!); nel viaggio di ritorno l’incontro con Christophe Deslignes, in Bretagna, grandissimo maestro mondiale dell’organo portativo che ci ha accolti a casa sua, ci ha dedicato il suo tempo e mi ha donato importanti suggerimenti riguardanti il mio nuovo strumento.
A Kloar sono stato rapito dalla benevolenza di tutti e ho potuto attingere da fonti luminose, da “iridate sorgenti” (come direbbe il compositore maceratese Lino Liviabella) di tradizione e di musica. Una fonte è la voce, il canto meraviglioso del popolo bretone, di Brigitte Kloareg in particolare, di sua figlia Katell, di Valérie Imbert e di tanti altri cantori tradizionali: il canto è la musica tradizionale, devo sempre ricordarlo io che spesso quando c’è da cantare mi tiro indietro. Un’altra fonte è la musica di Yann-Fanch, ovvero l’esempio pratico del divenire della tradizione: la sua musica è modernissima e ancestrale nello stesso tempo, semplice e complessa, essenziale e ridondante, va oltre la categoria del bello verso … il sublime.
Il canto, la musica strumentale … queste due fonti alimentano un flusso di energia che inevitabilmente fa girare la danza.
Ho ancora dentro la gavotte cantata in coppia da Brigitte e Katell ed accompagnata da Yann-Fanch. Sì, ce l’ho nel corpo, nell’anima, nello spirito, non solo nelle orecchie, perché l’ho ballata e l’ho ballata, come avviene spesso nelle danze bretoni, come anello di una catena che unisce tante persone in un tutt’uno, in un unico corpo sociale. Chiunque può entrare se balla nel modo giusto, nel modo tradizionale.
Ballare le danze bretoni è ricevere una lezione di civiltà. E’ superare l’individualismo per fondersi con l’altro nel creare un’unica catena che potrebbe (dovrebbe!) estendersi all’infinito.
In passato danze del genere erano sicuramente più presenti di quanto non lo siano oggi anche in area mediterranea.
Nelle Marche non se ne ha memoria e allora … e allora ben vengano le danze bretoni anche qui da noi! Magari come esercizio, divertente e profondo. Paradossalmente potranno aiutarci fisicamente e mentalmente a conoscere meglio noi stessi, come singoli e come appartenenti ad una comunità, la nostra comunità marchigiana, alla quale a volte ci dimentichiamo di appartenere, della quale spesso cerchiamo di non vedere i tratti peculiari ancora evidenti, della quale non siamo educati a conoscere la storia, l’essenza.
Conoscere noi stessi, perché, citando Bernardo di Chiaravalle, “plus j’avance dans la connaissance de mon “moi”, plus je m’approche de la connaissance de Dieu” (più avanzo nella conoscenza del mio io, più mi avvicino alla conoscenza di Dio).
Conoscere me stesso. Vi racconto un piccolo aneddoto. Il 30 aprile, a Kloar, inizio la giornata tenendo una lezione collettiva di organetto diatonico nel corso della quale … mi telefona mia madre per farmi gli auguri di buon compleanno. I miei allievi, venuti a conoscenza della ricorrenza, mi fanno a loro volta degli auguri calorosissimi in quanto doppi poichè il 30 aprile in Francia … è anche san Roberto!!!!
Ma vi rendete conto?!?!? Io mi chiamo Roberto perché negli anni in cui sono nato il centravanti dell’Inter era Roberto Boninsegna!! In tutti i calendari che ho visto da sempre il 30 aprile è il giorno di San Pio V, tra l’altro conterraneo dei Calagiubella! E invece in Francia è san Roberto! Sì, san Robert de Molesmes, benedettino, borgognone (la casa di Borgogna ha avuto molto a che fare con le Marche), uno dei fondatori dell’ordine cistercense. Non me ne vogliate ma da ora in poi nel mio calendario il 30 aprile sarà san Roberto.
In Bretagna ho conosciuto un po’ di più me stesso, grazie a Brigitte, a Katell e alla sua famiglia, a Yann-Fanch e alla sua famiglia, a Véro e Jannot, a Francine e Francois, a Valérie, Alix, Bruno, a tutti i nuovi amici bretoni, a saint Robert, a Marco Meo, franco-piceno sempre più compagno di avventure, e di sicuro, grazie ai leoni piemontesi, Chacho Marchelli e i Calagiubella.
In Francia si dice “la pluie le jour de saint Robert, de bon vin remplira ton verre” (la pioggia il giorno di san Roberto, di buon vino riempirà il tuo bicchiere). Beh, il 30 aprile a Kloar è piovuto!
Conclusa la lezione di organetto, la giornata è proseguita con la mia festa di compleanno a sorpresa (durante la quale, ovviamente, ho pianto) e con la visita a Locronan. Qui ci siamo fermati a suonare fino a tarda notte all’Ostaliri Ty Jos.
Vi assicuro che i proverbi francesi non sbagliano mai!!!!

De retour de Kloar avec saint Robert dans le calendrier et la Bretagne dans le cœur

Mon anniversaire est le 30 avril.
J’ai toujours aimé cette date parce que nous, européens, durant la nuit entre le 30 avril et le 1er mai, nous célébrons depuis des temps immémoriaux le réveil de la nature après le sommeil de l’hiver : c’est la nuit de Beltane pour les Celtes, la nuit de Valpurga pour les Germains, le début du mois de la déesse Maia pour les romains, devenu ensuite de mois de Marie pour les chrétiens.
Le 30 avril de cette année a été vraiment mémorable. Je l’ai passé en Bretagne, terre magique, dont la tradition est forte, dans tous les sens et en particulier la tradition musicale.
Je m’y suis rendu pour jouer et chanter le mois de mai avec mon ami et collègue des Marches, Marco Meo,  nous unissant dans les concerts, le Fest-noz, la musique et les libations dans les bistrots avec le magnifique Chacho Marchelli et l’irrésistible groupe piémontais des Calagiubella. Nous tous du groupe allègre des Marchigiani/Piémontais avons été invités, accueillis et hébergés avec tendresse par deux très grands musiciens bretons : Brigitte Kloareg et Yann-Fanch Perroches, et par une splendide communauté d'amateurs de musique et de danse traditionnelle. Le simple privilège de passer quelques jours avec Brigitte, Yann-Fanch et tous leurs amis et collaborateurs suffirait pour nous remplir de joie et de bien-être. Mais, comme on le sait, les pèlerinages aux centres de la tradition offrent toujours quelque chose de plus, quelque chose de difficile à cerner avec des mots, de profond, de spirituel pour qui s’en approche de la manière juste.
Le séjour à Kloar a été précédé et suivi de rencontres merveilleuses : durant le voyage de l’aller, celui de Patrice l’antiquaire, en Auvergne, avec lequel nous avions un rendez-vous sans connaître son adresse et que nous avons réussi à trouver, dans son village, seulement après avoir commencé à jouer le mois de mai en rue (quel beau test initiatique!) ; durant le voyage de retour, la rencontre avec Christophe Deslignes, en Bretagne, le splendide maestro mondial de l’orgue portatif qui nous a accueilli chez lui, nous a dédié son temps et m’a fait des suggestions importantes concernant mon nouvel instrument.
À Kloar, j’ai été ravi par la gentillesse de tous et j’ai pu puiser dans des sources lumineuses de tradition et de musique, (à des « sources irisées », comme dirait le compositeur de Macerata Lino Liviabella). Une de ces  sources est la voix, le chant merveilleux du peuple breton, de Brigitte Kloareg en particulier, de sa fille Katell, de Valérie Imbert et de tant d’autres chanteurs traditionnels : le chant est la musique traditionnelle, je dois toujours m’en rappeler moi qui, quand il faudrait chanter, me dérobe souvent. Une autre source est la musique de Yann-Fanch, c’est-à-dire l’exemple pratique du futur de la tradition : sa musique est extrêmement moderne et ancestrale dans le même temps, simple et complexe, essentielle et redondante, elle va au-delà de la catégorie du beau vers…  le sublime.
Le chant, la musique instrumentale… ces deux sources alimentent un flux d’énergie qui inévitablement fait démarrer la danse.
J’entends encore la gavotte chantée en couple par Brigitte et Katell et accompagnée par Yann-Fanch. Elle m’est entrée dans la peau, dans l’âme, pas seulement dans les oreilles, parce que je l’ai dansée et dansée, comme c’est souvent le cas dans les danses bretonnes, comme le maillon d’une chaîne qui unit de nombreuses personnes en un tout, en un unique corps social. Tous peuvent entrer s’ils dansent de la bonne manière, à la manière traditionnelle.
Danser les danses bretonnes est recevoir une leçon de civilité. C’est dépasser l’individualisme pour se fondre dans l’autre en créant une unique chaîne qui pourrait (devrait !) s’étendre à l’infini.
Dans le passé, des danses de ce genre étaient certainement plus présentes qu’aujourd’hui aussi dans la région méditerranéenne. Dans les Marches, on n’en a pas gardé la mémoire et alors… les danses bretonnes sont les bienvenues aussi chez nous ! Aussi comme exercice, amusant et profond. Paradoxalement elles pourront nous aider physiquement et mentalement à mieux nous connaître nous-mêmes, comme individus et comme membres d’une communauté, notre communauté des Marches, à laquelle nous oublions parfois d’appartenir, dont nous essayons souvent de ne pas voir les traits particuliers encore évidents, dont on ne nous apprend pas à connaître l’histoire, l’essence.
Nous connaître nous-mêmes, parce que, en citant Bernard de Clairvaux, « plus j’avance dans la connaissance de mon “moi”, plus je m’approche de la connaissance de Dieu ».
Me connaître moi-même. Je vous raconte une petite anecdote. Le 30 avril, à Kloar, je commence la journée en donnant une leçon collective d’accordéon diatonique au cours de laquelle… ma mère me téléphone pour me souhaiter un bon anniversaire. Mes élèves, qui ont su quelle était l’occasion, me présentent à leur tour leurs vœux chaleureux et doubles puisqu’en France, le 30 avril est… la saint Robert !!
Mais vous vous rendez compte !?!? Je m’appelle Roberto parce que, au moment de ma naissance, le centre-avant de l’Inter était Roberto Boninsegna !!  Dans tous les calendriers que j’ai vu, le 30 avril était toujours la fête de saint Pie V, d’ailleurs compatriote des Calagiubella! Et au contraire, en France, c’est la saint Robert ! Oui, saint Robert de Molesmes, bénédictin, bourguignon  (la Maison bourguignonne a eu de nombreux rapports avec les Marches), un des fondateurs de l’ordre cistercien. Désormais, dans mon calendrier, le 30 avril sera la saint Robert.
En Bretagne, je me suis connu un peu mieux moi-même, grâce à Brigitte, à Katell et à sa famille, à Yann-Fanch et à sa famille, à Véro et Jannot, à Francine et François, à Valérie, Alix, Bruno, à tous mes nouveaux amis bretons, à la saint Robert, à Marco Meo, franco-picène toujours davantage mon compagnon d’aventures, et certainement, grâce aux lions piémontais, Chacho Marchelli et les Calagiubella.
Un dicton français dit :  « la pluie le jour de saint Robert, de bon vin remplira ton verre ». Eh bien, il a plu le 30 avril à Kloar !
Après la leçon d’accordéon diatonique, la journée s’est poursuivie par la célébration de mon anniversaire à surprise (durant laquelle j’ai évidemment pleuré) et par la visite à Locronan. Nous nous y sommes arrêtés pour jouer jusque tard dans la nuit à l’Ostaliri Ty Jos.
Je vous assure que les proverbes français ne se trompent jamais !!!!


Io e Brigitte
Io e Yann-Fanch
Io Yann-Fanch, Véro, Bruno ...
Alle danze...
Io e Marco Meo




domenica 4 marzo 2012

Marchigianista: un album e un manifesto

Marchigianistaun album e un manifesto

“Marca, Marche, Marchigiano, Marchigianesco, … Marchigianista!
Basta con le contaminazioni: è l’ora dell’antropofagia musicale.”


São Paulo, Brasile, il primo maggio 1928, anno 374 dalla “deglutizione” del Vescovo Sardinha, Oswald de Andrade pubblica nella Revista de Antropofagia il suo “Manifesto Antropofago”: da questo successivamente nacque e crebbe il movimento musical-culturale Tropicalista brasiliano.
Porto Recanati, Marche, centro Italia, il 18 ottobre 2011, giorno di San Luca Evangelista, decido di pubblicare sul web il mio album musicale intitolato, in onore di quel manifesto poetico e di quel movimento, … Marchigianista!
Marchigianista in effetti non è solo il titolo di un album musicale. Marchigianista è un manifesto poetico a sua volta, è un progetto culturale, è una filosofia di vita, è, se non un movimento musicale, un gruppo musicale che fa muovere! “L’allegria è la prova del nove” come ripete più volte de Andrade nel “Manifesto Antropofago”.
L’antropofagia culturale sta alla base di Marchigianista: nello specifico l’antropofagia musicale, non la vile “contaminazione”. Contaminare vuol dire letteralmente inquinare, sporcare, disonorare. Il contaminare crea una realtà caotica visto che il contaminante e il contaminato rimangono disordinatamente distinti. Mangiare invece significa nutrirsi di ciò che si mangia, significa inglobare, digerire, assimilare, metabolizzare. Il mangiare da vigore e forza, crea ordine, vita.
Mangiare ritualmente il nemico, l’altro, permette di assimilarne e conservarne la forza, la virtù; si trasforma così, definitivamente, il Tabù in Totem.
Pur essendo lontano da noi nel tempo, nello spazio e nei presupposti culturali da cui prende vita, il modernismo brasiliano può fornirci comunque stimoli fondamentali.
La cultura tradizionale marchigiana è periferica rispetto alla cultura dominante di massa (quella della televisione popolare) ma anche rispetto alle culture tradizionali di altre zone d’Italia che sono divenute centrali negli ultimi decenni grazie ad efficaci operazioni di revival in vari ambiti (esemplare il revival della musica tradizionale del Salento).
Con il progetto Marchigianista ho cercato di seguire le orme degli intellettuali brasiliani del secolo scorso per creare una musica che rimanesse essenzialmente marchigiana, saldamente attaccata alle radici, ma che nello stesso tempo divenisse  universale, comprensibile ovunque ed “esportabile”. Per far questo ho innanzitutto ridato centralità alla cultura tradizionale della mia terra, le Marche, che spesso nell’immaginario collettivo sono poco più di un “non-luogo”.
Sono partito dalla conoscenza e, ove necessario, dalla ricostruzione e rivitalizzazione della cultura tradizionale marchigiana; contestualmente ho operato in modo tale che questa cultura tradizionale, dopo essersi auto-rigenerata, prendesse ulteriore vigore nutrendosi di stimoli culturali e musicali diversi e spesso lontani.
Ho iniziato percorrendo l’asse temporale passato/presente all’interno del territorio per scegliere il materiale su cui lavorare: canti e balli tradizionali, mie composizioni ispirate alla musica tradizionale o musiche contenute in manoscritti del passato, testi popolari o d’autore, miti, leggende, fatti storici poco conosciuti avvenuti nelle Marche. Ho percorso poi l’asse spaziale interno/esterno per realizzare arrangiamenti e improvvisazioni che partissero dalla musica tradizionale marchigiana ma che attingessero anche da altre fonti, da fonti internazionali: il rock progressivo, il jazz rock, il folk revival francese e anglo-americano, la musica latino-americana.
Anche la scelta degli strumenti musicali utilizzati ha seguito le stesse linee guida del repertorio e degli arrangiamenti, sintetizzando tradizionale e moderno, acustico ed elettrico. I miei mantici (la fisarmonica e l’organetto) e la mia voce danno vita al fuoco centrale di Marchigianista attorno al quale ruotano la chitarra folk, la chitarra elettrica ed il contrabbasso di Francesco Tesei, il basso elettrico di Leandro Scocco e la batteria di Mauro Mencaroni (storico batterista degli Agorà, gruppo jazz rock marchigiano che negli anni settanta fu conosciuto ed apprezzato a livello internazionale).
Le fondamenta poetiche di Marchigianista e della sua voracità musicale possono essere trovate quindi negli scritti di Oswald de Andrade. Ottime chiavi interpretative possono essere alcuni enunciati dell’intellettuale brasiliano:  “il lavoro contro il dettaglio naturalista – per la sintesi; contro la morbosità romantica – per l’equilibrio geometrico e per la rifinitura tecnica; contro la copia, per l’invenzione e per la sorpresa” ( dal “Manifesto della poesia Pau-Brasil”); “l’allegria è la prova del nove. […] Contro la Memoria fonte del costume. L’esperienza personale rinnovata” (dal “Manifesto Antropofago”).